hic sunt peones
un giro in provincia è quanto di meglio per riallinearsi col mondo reale. o molto più banalmente per farsi quattro risate di pancia (e quattro ghirigori di fastidio di testa) davanti a certe forme di ostentazione. quella dell'immobiliarista che scrive depandance. la stessa del jingle "insalatissime riomare, con il nuovo isipil"
(canta anche tu insieme a noi! non ti senti anche un po' sandra bullock in "demolition man"?). la medesima di chi sceglie per il proprio negozio il nome attira-clientela che nella propria mente vuol dire una cosa ma in effetti comunica tutt'altro.
la fastidiosa insolenza di chi è troppo sicuro.
nella merceria "la primula rossa" troverò mai quello che cerco? il negoziante sarà dietro al bancone o sarà fuggito all'estero? l'emporio rischia di essere chiuso negli orari canonici?
e cosa dire dell'agenzia di pompe funebri "l'angelo azzurro"? e perché non, per dire, "dal vecchio con la falce"? bearsi di essere un paesano doc da generazioni e generazioni ma chiamare il proprio bar "café del corso" anche quando la toponomastica ti dà contro e il tuo locale è su una banale via (manco viale) mi porta ad attacchi epilettici.
altri sintomi di questa professionalità tutta inventata sono scritti in piccolo nell'insegna: dolceria, in un negozio di caramelle; griglieria, in una trattoria; farettistica, da un elettricista. chiamare le cose col loro nome no, eh?
il punto, ed è triste, è che alla fine hanno vinto loro, peoni del terzo millennio: perché per assurdo dopo queste riflessioni divento incapace di dimenticare il nome dei loro negozi. me li porto stampati in testa - il risultato è raggiunto. quale pubblicità migliore di questa?